PADOVA

Collocata nella Bassa della Regione non troppo distante dalle lagune dell’Adriatico, Padova è oggi la terza città del Veneto per popolazione e un capoluogo attivo e vivace, che continua ad attrarre anche il miglior turismo grazie all’assetto medievale delle piazze del centro storico, a una nutrita serie di episodi artistici di portata internazionale e all’estensione di un tessuto urbano d’epoca reso più suggestivo dalla straordinaria continuità dei portici. Piazza delle Erbe I banchi della frutta e della verdura animano ancora questa antica area dei commerci, dominata dal palazzo della Ragione e definita a est da retro a bugnato del palazzo del Municipio, di origini duecentesche ma rifatto a metà ‘500 e ingrandito nel 1904; di particolare interesse sono la statua della Giustizia (1552) tra due arcate del portico terreno, la corte con la facciata originaria (1539) e le scale (1526) che conducono al cortile pensile dorico, dal quale si può salire all’interno del palazzo della Ragione Il Palazzo della Ragione è anche detto Salone per la vastità del suo unico ambiente chiuso l’edificio, la cui costruzione fu promossa nel 1218-19 per accogliere le magistrature comunali, mentre l’intensificarsi della mercatura nell’area delle piazze invitava il Comune a un intervento regolarizzatore che affermasse anche materialmente la protezione pubblica sulle attività mercantili. L’enorme sala al livello superiore non può più esibire gli originari affreschi di Giotto, perduti in un incendio nel 1420. L’attuale decorazione pittorica fu comunque eseguita poco dopo sugli schemi giotteschi e offre uno dei più vasti cicli astrologici esistenti; la narrazione, sviluppata per oltre 200 metri, è divisa in 12 parti, corrispondenti ai mesi dell’anno, e in 333 comparti, raggruppati in base ai mesi e ai rispettivi segni zodiacali (l’inizio corrisponde all’ariete, cioè all’equinozio di primavera).Il cavallo di legno, riproduzione di quello della statua del Gattamelata, fu costruito nel 1446 per un nobile padovano in occasione di una festa, ma la testa è stata rifatta nel 1840. Di maggior rilievo sono i monumenti cinque-seicenteschi alle sue spalle e, nell’angolo opposto, la duecentesca pietra del Vituperio, dove venivano fatti sedere in camicia i commercianti falliti. Piazza della Frutta Su questa piazza, che quando vi si smerciavano i “perones” (calzari) era chiamata Peronio, altri edifici ricordano perdute funzioni di governo. La loggia in pietra d’Istria del romanico palazzo del Consiglio (1283) è sovrastata dalla torre degli Anziani, innalzata nel 1296, ma “abbassata” nel 1939, oltre la quale s’incontra, lungo via Oberdan, la facciata in cotto del palazzo omonimo, sorto nel 1285 e ingrandito nel 1523. Piazza dei Signori Solo poche decine di passi separano gli antichi centri delpotere comunale dal luogo dove nel ‘300 sorgeva la reggia dei da Carrara; questa è stata ingoiata dai secoli, ma la signoria che vi dimorava è ricordata almeno nel nome della piazza. La chiesa di San Clemente, di antichissima origine ma parzialmente ricostruita a fine ‘500, nel medioevo era sede religiosa delle corporazioni mercantili cittadine. Loggia del Consiglio O della Gran Guardia, al cui interno si riuniva, nei secoli della Serenissima, il Maggior Consiglio cittadino. La fabbrica, iniziata nel 1496, vide nel terzo decennio del ‘500 un intervento di Giovanni Maria Falconetto, protagonista della transazione che l’architettura padovana stava allora vivendo da un linguaggio gotico fiorito di provenienza lagunare a modi risarcimentali in gran parte d’influsso lombardesco, e fu conclusa nel 1553. La loggia vera e propria è preceduta da una scalinata e racchiude nella sala superiore affreschi seicenteschi sulle origini leggendarie di Padova e sugli episodi salienti della sua storia. Palazzo del Capitanio Il capitanio, una delle due autorità governative veneziane di stanza a Padova (l’altro era il podestà), risiedeva in questo edificio, la cui facciata (1598-1605) si presenta simmetrica attorno all’arco trionfale compiuto e firmato nel 1532 da Giovanni Maria Falconetto. L’orologio al centro risale però al quarto decennio del ‘400 ed è una replica di quello qui installato nel 1344, primo meccanismo del genere che si sappia mai costruito nel nostro paese. Duomo Imponente è la mole della chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, di origini altomedievali ma ricostruita dopo il saccheggio degli ungari dell’889 e nuovamente dopo il sisma del 1117; la fabbrica attuale risale però a metà ‘500, su disegno molto alterato di Michelangelo. La facciata rimasta in cotto suggerisce come i lavori di sistemazione dell’interno a tre navate si siano protratti a lungo, tanto che la consacrazione avvenne solo nel 1754. Nella sagrestia dei Canonici, cui si accede dal transetto sinistro, tele dei Bassano, di Paris Bordone, Giandomenico Tiepolo, Girolamo Forabosco e del Sassoferrato si accompagnano alle preziose tavole laterali di un trittico di Giorgio Schiavone, a una Madonna di Giusto de’ Menabuoi e a una serie di tavolette trecentesche di Nicoletto Semitecolo, collaboratore di Guariento. Un armadio di metà ‘500 ospita il Tesore, dove spicca una Croce processionale in argento dorato a bassorilievi (1228). Battistero  La componente di maggior interes-se nel complesso religioso attorno al Duomo è offerta da questo edificio, sorto nel secolo XII ma promosso nel 1378 a mausoleo dei Carraresi. L’originaria struttura cubica, già ampliata nel 1260, si vede conferire allora l’attuale coronamento a tamburo sovrastato da cupola, ma soprattutto ebbe le pareti interne decorate, su commissione di Fina Buzzaccarini, consorte di Francesco il Vecchio da Carrara, che per prima ebbe qui sepoltura (nel 1405 i veneziani demoliorno la sua tomba e quelle del marito), da un eccezionale ciclo di affreschi di Giusto de’ Menabuoi, tra le massime opere di questo genere nel ‘300 italiano: nella volta della cupola è raffigurato il Paradiso, sul tamburo episodi della Genesi, alle pareti episodi della vita di San Giovanni Battista, di Maria e di Cristo; la grande Crocifissione s’inserisce in una complessa gerarchia simbolica, alla cui ideazione non dovette essere estraneo Petrarca. Esterna a piazza Garibaldi affaccia, fra ulteriori edifici moderni, la porta Altinate, costruita nella cinta muraria nel 1286 su un varco d’età romana, mentre la zona pedonalizzata conduce in breve a piazza Cavour, su cui prospetta il famoso caffè Pedrocchi (1826-31). Anche l’Università di Padova, al pari di quelle medievali, aveva avuto inizio in una serie di sedi sparse, private iniziative di docenti e studenti. L’edificio principale dell’Ateneo, conosciuto col nome di Bo’ derivante dall’insegna (un bue, in veneto “bo'”) della locanda che qui sorgeva in origine, è ovviamente antico (cominciò a sorgerenel 1493), ma non quanto l’attività didattica. Dietro la facciata, che si vuole di Vincenzo Scamozzi, c’è un ammirevole cortile cinquecentesco; dal piano nobile della loggia si accede ad ambienti storici di rappresentanza (uno conserva la cattedra di Galileo Galilei) e di studio(importantissimo il Teatro anatomico, primo del genere in Europa, voluto nel 1594 da Girolamo Fabrici d’Acquapendente). Cappela degli Scrovegni In suffragio dell’anima del padre, noto usuraio ricordato da Dante nella “Divina Commedia”, Enrico Scrovegni fece erigere nel 1303-1305, a fianco dell’imponentepalazzo della potente famiglia di mercanti e banchieri demolito nel 1827, il monumento forse più famoso di Padova, affrescato da Giotto (storie della Vergine e di Cristo) con un ciclo di 38 episodi di eccezionale importanza per l’innovativo realismo introdotto dal pittore toscano nell’arte figurativa del tempo. Nello zoccolo delle pareti sono le sette Virtù (destra) e i sette Vizi capitali (sinistra); alla parete d’ingresso, il Giudizio universale. All’altare, Madonna e due angeli, statue di Giovanni Pisano; nelle due nicchie dell’abside, Madonne allattanti di Giusto de’ Menabuoi; dietro l’altare, sepolcro di Enrico Scrovegni. Prato della Valle Dove le acque della bassa veneta portavano la palude fin dentro l’abitato, il nobileveneziano Andrea Memmo,provveditore a Padova nel 1775-76, volle creare il nuovo centro cittadino, in cui grande fiere commerciali e pubbliche adunanze trovassero decorosa cornice. Il progetto, di Domenico Cerato, ha avuto come esito una delle più grandiose piazze del continente (88.620 metri quadrati), solcata dall’elisse della canalizzazione che inscrive l’isola Memmia e sulla quale affacciano 78 statue di personaggi legati a Padova e all’Università. Santa Giustina Dalle origini nel secolo V fino alla ricostruzione dopo il terremoto del 1117, da questa fino alla demolizione per dar posto all’attuale colosso (opera realizzata nel 1532-79), la basilica benedettina ha cambiato aspetto varie volte, senza tuttavia che si riuscisse a compiere la facciata. Il volto in mattoni è d’altra parte entrato a pieno titolo nell’immagine acquisita, in tutto ciò aiutato dall’orizzonte delle otto cupole e dal campanile poggiante sul predecessore medievale, e cela interessanti elementi delle fabbriche anteriori. L’intero (pianta), per dimensioni l’undicesimo tra gli edifici di culto cristiani, si presenta diviso da grandi pilastri in tre navate. Dal transetto destro si parla al pozzo dei Martiri (1566) e di qui al sacello di San Prosdocimo, residuo del complesso primitivo, dove è un’iconostasi marmorea del secolo VI. Nella trecentesca cappella di San Luca riposa la veneziana Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna laureata (1678). Attraverso il Coro vecchio, che era l’abside della chiesa precedente (1462), si accede all’antisagrestia, dove è custodito l’architrave del portale romanico (1080 circa) del luogo di culto originario. La sagrestia (1462) racchiude arredi lignei seicenteschi. Notevolissimi gli intagli e i decori del cinquecentesco coro, dove la pala (Martirio di Santa Giustina, 1575 circa) all’altare di fondo è del Veronese. La cappella a sinistra del presbiterio reca nella volta e nel catino affreschi di Sebastiano Ricci. Nel transetto sinistro, l’arca di San Luca è opera pisana del 1316 con bellissimi rilievi in alabastro. Nella seconda cappella sinistra, pala del Ricci. Orto botanico Come “orto dei Semplici” lo volle, lungo il canale dell’Alicorno, l’Università nel 1545, affidandone la realizzazione ad Andrea Moroni aiutato dall’umanista Daniele Babaro, e allo scopo di fornire materie prime alla farmacopea vi si coltivarono inizialmente 1.500 piante. Oggi, tra viali, aiuole, vasche e serre l’Orto botanico ne annovera circa 7.500, tra le quali spicca la palma di Goethe, vista dal poeta tedesco, appassionato di botanica, nel 1786. Ricchissima l’annessa biblioteca, con antichi codici ed erbari storici. Piazza del Santo Tutto qui parla di Sant’Antonio, tutto a eccezione del monumento al Gattamelata, com’era soprannominato per la sua astuzia il capitano di ventura Erasmo da Narni; nel 1447 la Repubblica di Venezia sanzionò il valore dei servigi da lui resi in guerra (con la sconfitta dei Visconti, 1437-39) commissionando a Donatello l’esecuzione di una sua immagine equestre in bronzo, terminata nel 1453. Sant’Antonio Il Santo (così la basilica è universalmente conosciuta) fu eretta, inglobando i resti

PADOVA 28/04/2006 ©MICHELA GOBBI
BASILICA DEL SANTO, ESTERNO

 della chiesa di Santa Maria Mater Domini risalente al XII secolo, dal 1232, come monumentale riparo alle spoglie del religioso portoghese, nei modi insoliti e arcaici di un revival bizantino, con cupole disposte in croce. Come spesso accade nell’architettura ecclesiastica medievale, è maggiormente spettacolare l’abside rispetto alla facciata, su arcate cieche a sesto acuto sormontate da galleria coperta e da timpano con rosone e campaniletto. L’interno a tre navate è un concentrato di capolavori. A Michele Sanmicheli si devono il monumento al cardinale Pietro Bembo, e quello in onore del nobile veneziano Alessandro Contarini. Se nella prima cappella destra riposa il Gattamelata, di maggiore importanza è lo straordinario esempio unitario di arte gotica veneziana fornito dalla cappella di San Felice o di San Giacomo: voluta da Bonifacio dei Lupi di Soragna (1372-77) e disegnata da Andriolo de’ Santi, reca affreschi di Altichiero (Leggenda di San Giacomo, dove appaiono Francesco il Vecchio da Carrara e Petrarca, e Crocifissione) che sono tra le massime espressioni dell’arte del ‘300. Sopra la cappella, l’organo tardoottocentesco conta ben 4.189 canne. Al di là della sagrestia, con armadio quattrocentesco, la trecentesca sala del Capitolo ospita un frammento di Crocifissione attribuita a Giotto e brani di affreschi della sua bottega.  Nel presbiterio, gli straordinari bronzi dell’altare maggiore, ideato ed eseguito da Donatello nel 1443-50, furono smontati e smembrati nel 1591, ma vennero recuperati e inseriti secondo una nuova disposizione ipotizzata in sede di restauro da Camillo Boito nel 1895; di Donatello è anche, dietro l’altare, la Deposizione in pietra, mentre il monumentale candelabro (1507-1515) con figurazioni sacre e allegoriche a sinistra è di Andrea Briosco, autore pure di due tra i bassorilievi biblici bronzei alle pareti. Frequentatissimo dai pellegrini ai confessionali, il deambulatorio si apre sulla serie di cappelle, di cui la maggiore, tardoseicentesca, ospita il Tesoro, dove spiccano due reliquiari (secoli XII e XV) “della lingua incorrotta” di Sant’Antonio, navicelle rinascimentali per l’incenso e le casse lignee che avevano contenuto i resti del santo. Dalla cappella della Madonna Mora, resto della preesistente chiesa, si ha accesso alla cappella del beato Luca Belludi o dei Conti (1382), decorata dall’ultimo ciclo di affreschi eseguito da Giusto de’ Menabuoi.

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